Insieme
per decenni. Photo sessions, interviste, press kits, album, live. Martin
Gore e Dave Gahan sono per venti anni apparsi sempre insieme e sotto lo
stesso marchio, quello dei Depeche Mode, nella gran parte delle
apparizioni pubbliche ed in ogni pubblicazione ufficiale. Ma con
l'uscita degli albums solisti, la luce dei riflettori si è divisa su
due diverse personalità, su due differenti approcci musicali, e forse
su due diversi progetti sul futuro dei prossimi Depeche Mode.
Questa pagina riassume, piu' di quanto non apparso finora su 013, i
passi principali delle interviste contenute nei press kits abbinati alle
pubblicazioni di Counterfeit² e Paper
Monsters. Col senno di poi, valutiamo affinità, divergenze e le
prospettive che ci attendono nei prossimi mesi... |
Cosa si prova a ritornare con un album
solista? Beh, è un po’ una esperienza nuova, è solo la seconda volta che ho realizzato qualcosa da solista e c’è un po’ di pressione in piu’. Trovo un po’ piu’ di difficolta’ nella promozione, poichè stavolta devo farla per tre... Perchè hai deciso di realizzare un album da solo? Ho realmente cominciato a pensare di poter fare il seguito di “Counterfeit” EP dopo che abbiamo terminato Exciter e quando sapevo bene che Dave stava andando in studio per registrare il suo album solista. Ho capito che avrei avuto molto tempo libero senza essere coninvolto in nessuna attività con la band, e cosi’ è stata l’occasione per mettere in pratica cio’ di cui avevo parlato per 13 o 14 anni. Ritengo di aver cominciato con il pensare vagamente al tipo di canzoni da registrare, ma non ho cominciato nulla sul serio fino a febbraio dello scorso anno, quando ho iniziato a fare una lista dei brani che pensavo di registrare e delle persone con le quali volevo lavorare. Un album di cover: perchè? Mi piace l’idea delle cover versions. Ritengo che sia interessante quando componenti di una band o dei compositori realizzino delle covers, poichè cio’ mostra le loro influenze. Quando ero piu' giovane, davvero mi piacevano le cover di Brian Ferry e cio’ mi fece intuire chi lo ispirava. E questo’ mi aiuto’ anche a conoscere musica mai ascoltata prima. Non hai scritto nemmeno un brano per questo nuovo album... Ritengo che, essendo un componente dei Depeche Mode, non sia giusto usare per me le mie canzoni, poichè io sono il principale compositore della band e non sono particolarmente prolifico. Cio’ determinerebbe una sorta di conflitto di interessi, del tipo: quale canzone dovrei usare per me, e quale per la band ? Non mi sembra la cosa migliore. Quando mi succede di comporre, cio’ avviene in maniera un po’ bizzarra. Non sono il tipo di persona che scrive di continuo. Solitamente io decido i periodi nei quali scrivere. Ora ho deciso di lavorare per questo progetto solista e credo che la cosa giovi, poichè in qualche modo cio’ blocca la mia vena creativa. Quando terminero’ il periodo di promozione per questo album e la esigua serie di date live, tonero’ a scrivere per la band...e già mi sento piu’ creativo. Le volte che capita di sedermi al piano o di prendere la chitarra, mi sento piu’ creativo di quanto sarei se cercassi di continuo di comporre canzoni. Come è andata nella scelta dei brani da includere? Beh, ci sono ovviamente migliaia di canzoni che mi mi piacciono, ma sono rimasto sopreso di quanto poche siano comparse nella lista di brani di cui volevo realizzare la cover per questo disco. Credo di preferire brani che siano toccanti. In qualche modo mi coinvolgono tutti emotivamente e non riesco a spiegare come. Cio’ li unisce in un filo logico, anche se provengono da diverse aree musicali. Credo che ci siano elementi di solitudine e malinconia nei brani che mi piacciono. I brani appartengono ad un'era specifica? Beh, sono davvero brani del passato. Due o tre canzoni sono almeno degli anni ’30, alcune sono degli anni ’70 ed il brano di Julie Crew è, credo, del 97. Non c’è molto degli anni ’80. Non so perchè li ho evitati, ma non è stata una scelta voluta. Che importanza hanno i remix secondo te? Ritengo che sia sempre interessante la realizzazione dei remix, e cio’ è qualcosa che abbiamo sempre tenuto in considerazione nei Depeche Mode. Essendo sempre interessati alle tendenze musicali del momento, abbiamo sempre fatto in modo di coinvolgere dei validi remixers nei nostri lavori, e sembra che cio' succeda prima che loro diventino famosi da soli. Credo che cio’ avvenga per il nostro continuo interesse in cio’ che accade. Come si è svolta la registrazione dei pezzi? Credevo che fosse abbastanza semplice fare un album di cover versions poichè si crede che, una volta scelte le canzoni, sia già stato fatto un bel passo avanti. Ma a me non piacciono versioni troppo aderenti a quelle originali. Piuttosto, preferisco esplorare differenti "direzioni" nelle quali il brano originale funzioni ancora. Cio' che ti piace nella versione originale deve essere "trasportato" anche nella nuova versione riadattata, e cio' non è certo una cosa molto semplice. Alcune volte si ottiene una sperimentazione, altre volte il lavoro risulta infruttuoso, e cosi' ti puoi ritrovare, dopo tre o quattro settimane spese sulla rielaborazione di un brano, a dover ricominciare tutto daccapo. Quali sono gli artisti di cui attualmente risenti l'influenza? Non so se potrei realmente dire che ci sia un artista che mi influenzi, ma durante gli ultimi tre o quattro anni ho asoltato principalmente musica elettronica minimale. Credo che questo, alla fin fine, abbia avuto una influenza inconscia su di me. Sarebbe corretto trovare una omogeneità di stile fra il tuo album solista e quelli pubblicati dai Depeche Mode? Credo che ci sia una connessione fra l’ultimo album dei Depeche Mode e questo. Sono entrambi molto elettronici, e ritengo di essere stato influenzato molto dalla musica che ho ascoltato negli ultimi quattro anni, che è stata principalmente musica underground, musica minimale. Dunque un nesso fra questi due albums c’è. Ovviamente, canti molto di piu' di quanto non succeda con un album dei Depeche Mode. Come ti senti per questo? Beh, sono sempre stato un cantante, sin da bambino mi piace cantare, e non è qualcosa di veramente nuovo per me, dal momento che canto sempre diverse canzoni in ogni album dei Depeche Mode, o tre o quattro brani quando ci esibiamo dal vivo. Per cui, per me è una cosa naturale. Hai dei brani preferiti nell'album? E’ buffo, credo che il mio brano preferito sia “Lost in the stars, ed è l’unica canzone nell’album del tutto tradizionale: solo pianoforte, strings e voce, semplicemente perchè non sapevo in quale altro modo reinterpretarla. Non credo che avrebbe funzionato con nessun arrangiamento elettronico, ma è stata la prima canzone apparsa nella mia lista e sapevo che avrei dovuto in qualche modo inserirla nell’album. Hai incluso covers di artisti noti, ma i brani sono poco conosciuti. Perchè? Solo perchè mi piacciono. Puo’ sembrare una risposta semplice, ma la domanda lo richiede. Mi sono sorpreso del fatto che dalla intera storia della musica non c’erano centinaia e centinaia di canzoni che volevo rielaborare. Ovviamente ci sono centinaia di brani che mi piacciono, ma una canzone deve avere una qualità davvero straordinaria prima che io la prenda in considerazione per farne una cover. Per te è importante che l'album abbia successo commerciale? Spero che non sia importante per me, poichè potrei rimanerne deluso. L’album non ha finalità commerciali, non c’è un singolo ideale, anche se abbiamo scelto “Stardust”. Non è stato concepito per il mercato dei singoli, per cui se va cosi’ cosi’, son contento. A casa conduci una vita da rockstar? Credo di condurre due vite separate, ci sono volte in cui mi devo calare nei panni della rockstar, e la maggior parte del tempo nel quale sono casa con la mia famiglia e nessuno in particolare sa chi sono. Gioco a calcio, soccer come lo chiamano in America, tre volte a settimana ed all’inizio, credo sei mesi, nessuno nella mia squadra sapeva io chi fossi. E la cosa mi è piaciuta. E i Depeche Mode? Con i progetti solisti attualmente in corso, quando prevedi di registrare un altro album insieme? Ci siamo lasciati con l’accordo di riparlarne alla fine dell’anno, una volta che i nostri progetti sono terminati, e pianificheremo quando tornare in studio e quando ci piacerebbe realizzare un album. |
Che cosa ha ispirato la decisione di registrare il tuo album solista? Ho cominciato a pensarci seriamente circa tre anni fa, quando finimmo il Singles Tour. Avevo delle idee per qualche canzone e quando tornai a New York mia moglie mi incoraggiò ad andare avanti. Lei mi è stata davvero di grande sostegno. Avevo queste idee e credo di essermi sempre lamentato del fatto di non avere qualcuno a cui trasmetterle. Di cio’ sentivo davvero il bisogno, così come di trovarmi una valvola di sfogo. Volevo lavorare con qualcun altro, in modo da scambiarci delle idee. Volevo andare avanti e quando concludemmo quel tour sentii che diventava veramente importante spingermi in una direzione che in realtà mi incuteva paura. Era un qualcosa di cui parlavo da diverso tempo. In realtà, quando vivevo a Los Angeles, io dicevo di voler fare di più, gli amici cercavano di incoraggiarmi a fare qualcosa, ma all’epoca non avevo proprio la forza per farlo. Hai lavorato a stretto contatto con Knox Chandler su quest’album. Come è successo? E’ successo che un mio amico di Los Angeles, Victor – è lui che ha suonato la batteria sull’album, e che suonerà la batteria anche per il tour – mi suggerì di contattare un comune amico, Knox. Conoscevo Knox, anche se non così bene. Ciò che è successo è stato un incontro del tutto casuale: ci siamo trovati vicini. A quel punto stavo sulle spine, sono andato da lui e gli ho detto: “Sono Dave Gahan, ho sentito che suoni la chitarra e un po’ il violoncello. Io ho queste canzoni e ho bisogno di qualcuno che mi aiuti a svilupparle”. E lui ha risposto: “Ok, fantastico, a casa mia ho una stanzetta in cui lavoro, vieni la settimana prossima”, Neanche a dirlo, andai lì da lui la settimana dopo. Avevo quest’unica canzone, che probabilmente diverrà una B-side chiamata “Closer”. Gli cantai la canzone, Knox cominciò a suonare la chitarra e, ad essere onesti, da quel momento i nosri incontri sono diventati usuali. Come avete lavorato insieme, tu e Knox? Dopo aver aver buttato giù qualcosa come cinque idee diverse – avevo in testa un sacco di parole e alcune idee per le melodie, e Knox mi ha davvero aiutato. Lui ha suonato una chitarra molto d’atmosfera, anche il violoncello e un po’ di basso, una cosa veramente d’atmosfera, parecchio distante da dove siamo adesso. Mi ha davvero ispirato. C’era qualcosa in quei suoni e nel modo in cui suonava che mi ha realmente ispirato… io avrei cominciato a buttare giù i testi e le idee e poi avremmo registrato tutto. Dopo non molto tempo ci siamo visti una o due volte la settimana, a star lì seduti senza far niente bevendo un sacco di caffè, a parlare e poi a lavorare per circa un’ora, ma ogni volta me ne andavo da lì con qualcosa in più. Uscivo da lì sentendomi come se avessi realizzato qualcosa e ne ero veramente eccitato. Non mi ero più sentito così da parecchio tempo e a quel punto capii che avevo davvero bisogno di fare ciò che stavo facendo. Dopo un paio di mesi ci rendemmo entrambi conto che stavamo scrivendo canzoni insieme. Hai continuato a lavorare sul tuo materiale quando stavate registrando l’ultimo album dei Depeche? Anche durante la produzione di “Exciter”, nei giorni di riposo ho lavorato sulle idee e sono tornato nello studio di Santa Barbara a lavorarci su. Lì mi aiutava l’ingegnere del suono, ho inciso alcune idee e poi le ho spedite a Knox. Lui me le ha rispedite con alcune modifiche. Così è come sono effettivamente nate le canzoni. Hai mai discusso di scrivere qualche canzone all’interno dei Depeche Mode? L’unica volta in cui mi sono armato di abbastanza coraggio per farlo è stata durante la realizzazione di “Ultra”. Avevo una canzone che si sarebbe poi chiamata “The Ocean Song” e la feci sentire a Martin. Si trattava di una demo veramente grezza, dove io battevo il tempo col piede e cantavo la melodia insieme ad alcune parole. La feci ascoltare a Martin e a lui piacque. Poi, per una qualche ragione in fase di registrazione, venni informato che quella canzone non si adattava particolarmente al tema dell’album e a quel punto mi sono nuovamente tirato indietro. Ma non m’importava, perché la prima mossa era stata fatta, per poi proseguire e vedere cosa c’era dentro di me. Trovi che il tuo modo di cantare sia diverso, adesso che canti i tuoi stessi testi? Sì, è del tutto diverso e non me ne sono neanche accorto da solo, perché quando ho cominciato a scrivere la prima volta mi sono scoperto a modificare le mie stesse parole e le mie stesse canzoni in un modo al quale ero da sempre abituato. Mentre cantavo, io ero il mio peggior nemico, perché cercavo persino di dar forma alle cose in uno stile o in un modo che – inconsciamente – era per me familiare al modo con cui lavoravo coi Depeche. Knox mi aveva dato l’incoraggiamento per provare cose diverse con la mia voce e – tanto per stare più rilassato e per non rimanere incastrato a certe regole – una volta presa confidenza nel farlo, le cose hanno cominciato ad andare agevolmente. Ovvio che era un modo più naturale, sembrava come se il tutto stesse scorrendo attraverso di me invece che di cercare di dirigerlo in un certo modo. Dopo aver lavorato per così tanto tempo all’interno di una band, come ci si sente a fare improvvisamente quello che si vuole in studio? All’improvviso tutte le regole sono state buttate via, ed io mi sono reso conto che potevo esibirmi con idee differenti, che da lì in poi le cose sarebbero cambiate. Una volta cominciate le registrazioni, se qualcosa non stava funzionando, o se sentivo che poteva andar meglio, io l’avrei rifatta di nuovo, io l’avrei riscritta. Dopo un po’ queste canzoni – durante la realizzazione di questo album a New York – cominciavano a vivere di vita propria, e io non mi sono più sentito così per parecchio tempo, probabilmente dai tempi di “Violator”, dove si stava prendendo una direzione nella quale non avrei mai immaginato di andare e la cosa mi piaceva davvero. Il processo di registrazione è stato diverso rispetto a quello con cui hai lavorato prima? Tutto il materiale è stato sicuramente registrato in modo diverso, tutto veniva praticamente eseguito e poi sviluppato piuttosto che essere sviluppato dall’inizio alla fine. Per me questo sembrava molto più naturale ed ha molto più senso ora che sto arrivando alla conclusione e che ho quasi finito, perché è esibirmi ciò in cui sento di riuscire bene, ciò che ho imparato nel corso degli anni, questa è la vera mia forza. Essere in studio è stato davvero fantastico, così come lo è l’essere aperti all’interpretazione che gli altri dànno alle mie idee. Mi ci è voluto un po’ per ottenere la sicurezza di riuscire a farlo. Ad essere onesti, ancora non mi sembra vero. Ken Thomas ha prodotto il tuo album, Ken è meglio conosciuto per gli album dei Sigur Ros. Cosa di quei dischi tu hai pensato che avrebbe funzionato per te? Questa è proprio una bella domanda, perché quando presi un album dei Sigur Ros per la prima volta, il suo ascolto mi ha fatto star bene. Non so perché mi abbia fatto sentire bene, ma l’ha fatto. Mi ha veramente ispirato ad andare avanti e a continuare con ciò che facevo. Durante la produzione e prima di cominciare con l’attività in studio, me lo portavo dietro come se fosse una bibbia, lo ascoltavo dovunque. C’era qualcosa in quell’album che faceva capire che loro avessero buttato via tutte le regole. Così io suggerii il nome di Ken. Daniel disse di averlo conosciuto in passato, quindi fissarono un appuntamento e Daniel gli fece sentire qualche canzone, credo “Dirty Sticky Floors”, “A Little Piece” e “Black and Blue Again”, e poi ne abbiamo parlato tutti insieme al telefono. Chiesi a Ken che cosa ne pensasse e lui mi disse: “Le tue canzoni mi fanno sentire davvero bene, e mi piacerebbe farlo”. Questo è ciò che voglio fare: un disco che faccia sentire bene la gente. Hai attinto da qualche particolare influenza musicale mentre scrivevi questo album? Ci sono un sacco di influenze diverse in ciò che faccio. Sono arrivato a rendermi conto di aver avuto una grandissima formazione da parte di qualcuno che rispetto e che probabilmente è uno dei migliori compositori del nostro tempo – parlo di Martin, naturalmente – e questa è una cosa che mi è certamente rimasta. Volevo solo prendermela e cercare di essere più rilassato. C’è sicuramente molta influenza blues, c’è molta della musica che ascoltavo crescendo: T Rex, David Bowie, Slade. Non è ciò che io definirei rock. La musica che mi fa muovere ha uno swing, e io mi sento sempre come se dovessi essere in grado di riprodurlo. Quando scrivevo le canzoni e quando poi gli altri le sviluppavano, io mi immaginavo sempre di eseguirle, e questo mi faceva sentire bene. Che cosa ti ispira come compositore? Molti dei testi che scrivevo scaturivano dal modo in cui percepisco la gente e la vita, e io mi sono semplicemente inserito all’interno di questo meccanismo, in come percepisco me stesso e il modo in cui ho condotto la mia esistenza. Niente di tutto ciò è stato scritto a parte un paio di cose, grazie a ciò che io definisco i miei anni bui – l’era preistorica. E’ tutto uscito fuori dalla vita, su come possa essere meravigliosa la vita, nel rivedere tutto ciò e nel provare ancora tutto ciò. C’è molta oscurità nel mondo, oggi, e anche molta paura, e l’unico modo per combatterla – personalmente parlando – è di avere/alimentare un sentimento di speranza e fede che oggi certamente ho. Ci sono canzoni che provengono da quello che tu definisci il periodo “oscuro” della tua vita? “Dirty Sticky Floors” riassume tutto lo stile di vita nel quale sono stato tirato dentro, il cliché della rockstar. A volte ci si divertiva da matti, poi non ci si divertiva più, ed è dalle ceneri di tutto ciò che è nata “Dirty Sticky Floors”, un presa per i fondelli a me stesso e al lato brillante – ma non è veramente brillante – di tutta quella cultura della star rock and roll che si ubriaca, che sale su, poi cade con la faccia in giù e di solito finisce su un qualche pavimento sporco e appiccicoso – sia che sia questo il tuo caso, o che sia quello di qualcun altro. Volevo metterci dentro un po’ di divertimento, e non fare solo una canzone sul dolore dell’assuefazione. Se sei abbastanza fortunato da uscirne dall’altra parte come è capitato a me, e ne guadagni la giusta prospettiva e un po’ di spazio, potrai vedere come ciò sia ridicolo, specialmente se lo scegli. E io l’ho scelto di sicuro. L’attuale stabilità della tua vita ti ha aiutato a realizzare questo album? Io sono un bell’esempio di persona con un ego smisurato, ma che ha anche una stima di sé incredibilmente bassa, e questi due aspetti stanno davvero bene insieme. Da una parte, io sono la cosa più grande dopo l’invenzione del pane in cassetta, e dall’altra sono la creatura della laguna nera più infima che voi possiate anche solo immaginare. Naturalmente io non sono nessuna di queste due cose, ma in un modo o nell’altro ho trovato un qualche tipo di equilibrio e penso che fare quest’album mi abbia aiutato a conseguirlo, sicuramente la stabilità e l’affettuosa famiglia che ho intorno a me, mia moglie, i miei figli e tutto il resto hanno contribuito. Io voglio tutto ciò, non è un duro lavoro. Voglio godermi queste cose e non voglio che nessuna di queste sia dolorosa. Ciò che aggiungo alla mia vita è sicuramente ciò che da questa riesco a ricavare. Qual è stata la reazione della gente sul nuovo album? Penso che molte delle persone che l’hanno ascoltato siano rimaste abbastanza sorprese e questo non mi sorprende, perché in molti si aspettavano da me che venissi fuori con qualcosa di completamente dark e strano, oppure con qualche metal band di LA e roba del genere. Sicuramente in me ci sono un po’ di queste cose, ma questo è quanto è successo. Come ho già detto, ci vuole una propria vita, che vada avanti per la sua strada. Molte cose della vita sono fuori dalla mia portata. Mi sento come se mi trovassi nel posto giusto, a fare ciò che presumo di dover fare, per cui non riuscireste ad ottenere di piu’ da me. Sei preoccupato di quali potrebbero essere le reazioni della gente? Se cominciassi a pensare a chi piace ciò che faccio impazzirei. Tutto quel che so è che ciò che faccio mi piace davvero, mi sono veramente divertito. Non riesco ad immaginare che non ci siano persone là fuori che godranno dello stesso tipo di piacere dalla musica sulla quale ho lavorato. Riesco a sentirlo dentro il mio cuore, si sente bene, chissà – questo è un qualcosa che va al di là di me. Hai avuto molto supporto da parte dei fans dei Depeche mentre registravi quest’album? Mi è stato spedito un libretto di e-mail da una ragazza di Brooklyn quando ero a New York, con una miriade di messaggi provenienti da fans di tutto il mondo. In questo questo libretto davvero ben curato c’erano tutte queste incoraggianti e-mail da parte dei fans dei Depeche di tutto il mondo… ‘Non vedo l’ora di sapere come stai’, piu’ o meno era qyuesto il senso comune delle domande, per cui ho almeno un centinaio di fans che acquisteranno sicuramente l’album, e questo mi sembra un buon inzio. Da dove viene il titolo “Paper Monsters”? Da bambino passavo un sacco di tempo a domandarmi chi ci fosse dentro l’armadio e chi ci fosse sotto al letto, chi mi rincorresse…sogni che avevo da bambino. Allora realizzai che principalmente la paura cio’ che mi trattiene dalle cose che voglio. Penso che la paura trattenga moltissime persone dal fare ciò che vogliono fare, o dal dire ciò che vogliono dire. Penso che una delle cose più dure al mondo per la gente sia di ammetterlo e ti prendi questa specie di spavento di te stesso. I Mostri di Carta, questo è ciò che mi ha sempre fermato e queste canzoni dovevano venire fuori da qui. C’erano tutti questi mostri che crescevano dentro di me e io dovevo lasciarli uscire, e quando realizzai che a fermarmi era solo questo enorme simbolico foglio di carta, poi mi resi conto che potevo strapparlo a pezzettini, strapparlo tutto e poi passare dall’altra parte. Da qui viene il titolo dell’album. Chi ci sarà con te sul palco quando ti esibirai dal vivo? La cosa più importante è che io abbia messo insieme un gruppo di persone che sono anche amiche, persone con le quali continuo ad avere a fare. Uno dei personaggi chiave ad esser stato convolto – a parte Knox che suona la chitarra – è stato un mio amico di Los Angeles, Victor Endrizo, che suona la batteria. L’ho conosciuto quando vivevo a LA, avevamo vissuto delle cose insieme e abbiamo sempre parlato di fare qualcosa insieme. Questo è ciò che è davvero importante per me: che la gente che suona non siano questi tipi troppo sicuri di sé – sarebbe facile per me mettere insieme una band così – più difficile, per me, sarebbe mettere insieme un gruppo di persone che io sento essere davvero convinte sulle canzoni. Così ci siamo trovati. La setlist sarà interamente composta da brani dell’album o ci saranno anche dei brani dei Depeche Mode? Ovviamente voglio che l’attenzione sia incentrata sul mio album e voglio fare questi show in cui io debba lavorare duro, perché promuovo un album di canzoni che nessuno ha ancora ascoltato. Quando vai in tour e hai venti canzoni che siano tutte delle hit è come fare surf – te ne stai lassù in alto ed è grande. Così sara’ come ripercorrere i vecchi tempi dei Depeche Mode, pubblicare un album di cui nessuno si interessa ed andare in tour per l’anno successivo… nella speranza che che qualcuno sarà interessato al prossimo album, quando uscirà. Proporrò di sicuro qualche brano dei Depeche, l’ho già detto a Martin e le canzoni che per me starebbero bene sono: “Personal Jesus”, “Never Let Me Down Again”, “I Feel You”. Queste sono quelle che vorrei fare. Si tratta di uscir fuori e di divertirsi, penso che possa essere una scaletta intensa e non ho davvero intenzione di esibirmi più a lungo di un’ora e mezza. Per me, quando vado ad un concerto o a vedere un film, dopo un’ora e mezza comincio a diventare irrequieto. E’ cio che ho fatto. Non m’interessa quanto sia bello, per cui sarà un’ora e venti, un’ora e mezza, e buonanotte a tutti. (si ringrazia Giorgia Di Clemente per la traduzione dell'intervista a Dave e la Extralabels per la disponibilità dei supporti) |