"Songs of Faith and Devotion" Mute
Giunti al decimo album (antologia dei singoli e
live compresi) i beati bardi di Basildon si producono in un peculiare
prontuario di pronunciata perversione pop. Siccome lo snobismo mi annoia e
preferisco sempre ricercare quanto di interessante qualsiasi essere
umano/situazione/prodotto può celare, sottolineo subito come i D.M. non siano
più i paffuti ingenuotti circa "Speak & Spell" (già
"Music for the Masses" e lo splendido "Violator"
manifestarono le tenebrose tendenze dei quattro manipolatori elettronici, ma
ribadir non nuoce).
"Songs...", a dirla tutta, è album più
vanesio e scostante del sunnominato "Violator", che con le sue
armonie floride acuminate scagliò la band nell'empireo d'una ruggente
megastardom planetaria. Virata la propria immagine (già abbastanza truce,
tutto considerato) secondo suggestioni (mono) cromatiche muy Manson/Bono &
Co./Hunky Hutchence, e sonicamente nobilitati dalle impareggiabili misture
d'un Brian Eno in pieno trionfo, i D.M. indulgono elegantemente in trepidanti
celebrazioni del sadomasochismo spirituale ("In Your Room"),
dell'ambiguità relativa ai concetti d'abnegazione, redenzione e peccato
("Judas"), del sottilissimo confine che dovrebbe separare estasi
religiosa e scoinvolgimento carnale ("Higher Love"). Il tono lirico
dell'album, malinconico/esistenzialista tout-court, è pienamente espresso da
"Walking in My Shoes", non a caso il brano più accorato e riuscito
nella raccolta intera.
L'incomunicabilità, il senso di colpa, le imprese
sublimi e incontrollabili che il desiderio architetta senza posa per
incatenare al carro supersonico del proprio oggetto: ogni tessera del mosaico
combacia per fornire un'immagine al tempo stesso talmente fosca e smagliante
da sollevare non pochi interrogativi sull'effettivo significato di un titolo
come "Canzoni di fede e devozione".
Per altri versi, è assai suggestiva l'idea che
questi brani possano sonorizzare il camp suburbano, ipersharp e geniale d'una
sfuriata di Roseanne in camera di Darlene, o di una tenera telefonata notturna
di Dan alla neomaritata Jacky (ogni riferimento all'umanità e alla verve
della miglior sitcom del secolo è assolutamente voluto).
Devolute le acrobazie technoisy houseggianti a
milioni di remix presentati (o presentandi) sui relativi CD single, i D.M.
nell'album preferiscono lavorar d'austerità e parco cesello, concedendosi al
più qualche svisata malandrina qui, qualche trastullo d'echi ed archi dubbati
là.
Carino, ma quando verrà un "Violator"
extracrudo e sperimentale? Godete, se volete.