FAITH & OVATION



Celebrazioni al via: dopo 5 anni i Depeche Mode tornano in tour con una nuova collection di singoli. Le droghe, l’elettronica e il caos di 3 inguaribili romantici.

Di Stefan Woldach


Negli ultimi due anni il gruppo cult proveniente dal paesino inglese di Basildon ha interessato la stampa internazionale più con titoli scandalistici che con innovazioni musicali. Il nome Depeche Mode è stato associato quasi unicamente ai litigi tra i membri del quartetto, all’uscita dal gruppo del membro fondatore Alan Wilder, ai problemi con la droga e al tentato suicidio del cantante Dave Gahan. Non sono, quindi, da escludere nuovi conflitti, crisi e catastrofi con l’arrivo dell’imminente “Singles ‘86-’98 Tour”.
Eppure per anni i Depeche Mode erano stati visti come i bravi ragazzi della porta accanto. Non erano stati eccentrici come i Soft Cell, né avevano dimostrato ambizioni politiche come gli ABC, e non erano stati neanche capricciosi come i Duran Duran. Ma dopo quindici mesi e 156 concerti del loro “Faith And Devotion Tour” il gruppo si ritrovò negli studi di registrazione senza idee e con pochissimo tempo per incidere un nuovo disco dal titolo Ultra. La crisi fu inevitabile. Il tastierista Wilder lasciò incazzato il gruppo. Motivo: «Mancanza di comunicazione, mi sentivo estraniato». Poi arrivò la catastrofe. Il 26 giugno 1996 il frontman Dave Gahan venne trovato nella sua stanza del Sunset Marquis Hotel di Los Angeles con i polsi tagliati. Diagnosi: una consequenza del consumo di eroina. «Del tragitto all’ospedale mi ricordo solo le parole dell’infermiere che sussurrò: “Credo che l’abbiamo perso”». Visibilmente agitato Dave Gahan gioca con la sua sigaretta, inala profondamente e fa uscire il fumo dalla bocca con un profondo sospiro, mentre un po’ nervoso, si allunga sul divano di pelle di un albergo di lusso di Colonia. Si capisce che gli è difficile parlare di questa parte della sua vita. Al culmine della sua “carriera” da drogato Gahan era magrissimo e visibilmente trasandato. Oggi il suo aspetto è migliorato di molto, o, almeno, è più sano. Ma gli eventi hanno lasciato delle cicatrici, e non solo sulla sua anima. “Perché?” gli hanno chiesto spesso. Il belloccio di una volta con l’immagine del bravo ragazzo era arrivato al limite. «Avevo dato troppo nell’ultimo tour, non era rimasto quasi più niente di me» ammette oggi, dopo aver fatto con successo una cura per disintossicarsi. «Per competere con quella sensazione di vuoto ho preso l’eroina. E volevo farla finita, perché questa roba distruggeva la mia vita».
Nonostante il capitolo più buio nella storia del gruppo avesse trovato un happy end con la salvezza di Gahan, Ultra manifestava una forte malinconia latente, nessuna speranza all’orizzonte. Ma per il gruppo non era una novità: «L’abbiamo detto sempre negli ultimi anni: la nostra musica, in un certo senso, è molto realistica. Non scriviamo canzonette allegre, perché la vita è tutt’altro che allegra! Perciò tanti dei nostri brani hanno un fondo di malinconia. È questo il nostro realismo». E così Ultra è diventato un viaggio musicale dove i New Romantics di una volta hanno scoperto i loro limiti. Era l’album “più sorprendente, più duro e senza compromessi” che avessero mai fatto. Ultra, appunto. Il primo disco che non volevano presentare dal vivo al loro pubblico.
Arrivati dopo diciotto anni di attività al punto più basso della loro carriera, l’anno scorso Andrew Fletcher e Martin Gore annunciarono di non voler fare in nessun caso un tour per il loro dodicesimo lavoro: «La band aveva bisogno di una lunga pausa dopo l’inferno degli ultimi mesi». Gahan annuisce e si accende un’altra sigaretta… queste parole erano rivolte a lui. Così tutti sono rimasti sorpresi quando il gruppo, durante la conferenza stampa a Colonia in aprile, ha dichiarato di avere in programma dei concerti in autunno, il “The Singles ‘86-’98 Tour”(con l’aiuto di parecchi soldi da parte dell’organizzatore Mark Lieberberg, secondo quanto detto da persone dell’ambiente). Sarà un Greatest Hits Show, come si può intuire dal titolo. «Si tratterà di una retrospettiva storica» ha annunciato Gore. «Faremo tutti i nostri single hit di questo periodo. E già so che riconoscerete ogni canzone!». E per chi vorrà rivivere le emozioni storiche delle loro canzoni anche a casa, i Depeche Mode hanno preparato l’album dei singoli per questo autunno. Ventuno titoli da “Never Let Me Down Again” fino a “Barrel Of A Gun”. Il progetto sembra promettere bene, ma da cinque anni i Depeche Mode non suonano dal vivo, e i fan dimenticano velocemente… specialmente nel campo della musica pop. «Siamo insieme da diciotto anni, abbiamo visto nascere e scomparire band e trend» dice Gahan con aria fiduciosa, mentre cerca un’altra sigaretta. «I nostri fan sono e rimangono fedeli. Forse perché sono cresciuti insieme a noi».
Invece di rimanere più di un anno “on the road” come durante l’ultimo tour catastrofico, questa volta i Depeche Mode saranno in giro solo quattro mesi. Ma anche con questa limitazione, il potenziale di stress non potrebbe creare dei pericoli per te che sei convalescente? «No». Gahan scuote energicamente la testa e dichiara con aria seria: «Un’esperienza così non la voglio mai più vivere!». I fan ne saranno contenti.

NON PLUS ULTRA 

Ultra era il primo album dopo una pausa di quattro anni. Perché avevate lasciato passare così tanto tempo?
Fletcher: «Avevamo fatto un tour lungo dopo il precedente album, che ci era costato molte energie. Eravamo esausti nell’anima e nel corpo e abbiamo avuto bisogno di una pausa: non potevamo andare di nuovo direttamente in studio. Sarebbe stato un disastro, anche perché avevamo dei problemi… quelli che ormai sono a conoscenza di tutti».
Visto che ne parli, come reagì il gruppo ai problemi con la droga di Dave? Quando e dove avete saputo della sua dipendenza?
Fletcher: «Lui non diceva mai niente. A un certo punto abbiamo iniziato ad avere dei sospetti, e poi lo abbiamo anche saputo, ma abbiamo sempre cercato di rimuoverlo. Lui non ha mai preso droghe in nostra presenza, lo faceva sempre di nascosto. Vedevamo i suoi cambiamenti fisici, sempre più gravi, fino a che perse la voce. È stato molto triste assistere al suo decadimento. Ma adesso ce l’ha fatta, è di nuovo a posto. Dave da alcuni mesi è fuori, e la sua voce è di nuovo fantastica, è in forma perfetta».
Deve essere stato un periodo duro, perché l’esistenza del gruppo era a rischio…
Gore: «Arrivammo al punto più basso durante le incisioni a New York, quando dovevamo registrare le voci. Dave riuscì a finire un solo brano in sei settimane. Lo rimandammo a Los Angeles per riposarsi e per esercitare la voce con un insegnante. Una settimana dopo si era fatto una overdose ed era finito in carcere. A noi sembrò che a lui importasse poco o niente».
Fletcher: «Per fortuna alla fine Dave decise di darsi una mossa, perché il passo successivo sarebbe stato la morte. L’ultima volta ci mancò pochissimo».
Dave, come vedi tu tutto questo?
Gahan: «Dopo il “Faith And Devotion Tour” avevo dato talmente tanto di me stesso che mi sentivo vuoto. E per convivere con questa sensazione cominciai a prendere droghe ed eroina, il che aggravò soltanto i miei problemi. Avevo sempre l’impressione che la mia anima mi avesse lasciato, che Dio si fosse allontanato da me e mi dicesse: “OK, vai avanti così, ma se vuoi che io ti aiuti, devi accettare la vita com’è. Fu la prima volta nella mia vita in cui mi sono sentito veramente solo, anche quando ero in mezzo alla gente. Insieme agli altri non mi trovavo mai a mio agio. Di nessun giorno di quel periodo ho un ricordo nitido. Mi sento in difficoltà durante queste interviste, perché i miei assistenti, che mi hanno aiutato in questi mesi, non sono presenti. Devo chiamarli, ho bisogno di mettermi in contatto con loro. Da quando non prendo droghe sono anche meno isolato».
Cosa fai di concreto?
Gahan: «Ho passato l’ultimo anno lavorando su me stesso, creando la volontà di staccarmi dalle droghe. Ora sono pulito. Tutto si è rivolto al meglio. Ho lavorato con un insegnante a Los Angeles per migliorare la mia voce. Sono abbastanza soddisfatto. Sono entusiasta, mi sento più sicuro da quando sono ritornato. Mi ero allontanato troppo da me stesso».
Come vi siete ritrovati dopo quella fase? Cosa ha fatto Dave? È arrivato e vi ha detto: “Ragazzi, sarò bravo da adesso in poi”? 
Gore: «Lo capimmo dalla sua voce. Non ci aspettavamo che si scusasse. Sapevamo che era OK, perché riusciva di nuovo a cantare. Comunque non è arrivato subito, anzi ci ha proposto che lui, per iniziare, avrebbe lavorato da solo con il nostro produttore Tim a Los Angeles. Certo, eravamo scettici all’inizio, non sapevamo fino a che punto si era ripreso e se la sua voce era veramente OK. Ma poi sentimmo i risultati e capimmo che era di nuovo in forma».
Dave vi ha dovuto promettere di non prendere più droghe per restare insieme ai Depeche Mode?
Gore: «Siamo adulti. Forse puoi proibire qualcosa ad un bambino, ma non lo puoi fare con un adulto. Con un divieto otterresti l’esatto contrario. E’ una persona adulta e deve decidere da solo».
Gahan: «Ed è quello che ho fatto. Essere il cantante di un gruppo comporta una grande responsabilità; con la mia voce creo una sensazione unica, faccio vivere la canzone. Credo che i Depeche Mode siano costituiti dalle song di Martin e dalla mia voce; senza questi due ingredienti i Depeche Mode non esisterebbero più. Non conta con quale musicisti suoni. Sarà sempre così, e così è sempre stato».

FOREVER TEEN 

Il vostro tastierista Alan Wilder vi ha lasciato. Adesso, con un po’ di distacco, sapreste dire qual era il motivo?
Gore: «Penso che l’ultimo tour sia stato troppo per lui. In fondo lo è stato per tutti quanti. Abbiamo fatto una pausa perché abbiamo capito che così non si poteva andare avanti. Alan è venuto sei mesi dopo il tour e ci ha detto che già da tempo ne aveva abbastanza, e che prima o poi sarebbe arrivato il momento di lasciar perdere. Non ci ha dato spiegazioni, ma era piuttosto giù. Il motivo era la mancanza di comunicazione all’interno del gruppo. Un problema che in fondo hanno tutte le band quando sono di ritorno da un tour di quattordici mesi. Quando si sta appiccicati per così tanto tempo ad un certo punto ne hai le palle piene».
Non vi sorprende vedere quanto è giovane il vostro pubblico?
Fletcher: «Qualche tempo fa abbiamo fatto un’apparizione a “Top Of The Pops”, e nel pubblico c’erano ragazzi di 16, 17 anni. Questi kids erano talmente giovani che ci è venuta un po’ di paura. Sono sicuro che quando siamo stati lì quindici anni fa ci fossero ragazzi che avevano la stessa età. Ma noi eravamo più giovani! ». (ride)
Qual è il motivo per cui il sound dei Depeche Mode affascina ogni generazione di teenager?
Fletcher: «Abbiamo anche fans più grandi che sono cresciuti insieme a noi. Penso che le nostre melodie, i nostri brani siano semplicemente giusti, hanno un sound che piace ai fans. È fantastico sapere che riusciamo ad affascinare sia i ragazzi sia la gente della nostra età».
Siete contenti di essere cresciuti nella decade della New Wave?
Gahan: «Non saprei… tutto è in qualche modo “wave”, no? Di solito nelle charts, già come anni fa, la maggior parte delle cose che vedi è merda. Tranne alcune band. È sempre stato così. Negli anni Settanta, quando noi kids sentivamo il pop, pensavamo che ogni canzone in classifica dovesse essere buona. Adesso sappiamo che non è necessariamente così».
Per molti anni vi hanno paragonato addirittura agli U2…
Gore: «Trovo molti dei loro pezzi ancora oggi interessanti. Ma penso che nel corso degli anni siano stati loro ad avvicinarsi a noi e non viceversa. Noi siamo sempre stati una band elettronica, mentre loro all’inizio erano una rock band, che poi ha usato sempre di più elementi elettronici. Recentemente hanno lavorato con Howie B, e si avvicinano sempre di più a quello che facciamo noi. Lo so, sembra arrogante, ma eravamo sempre noi a dover spiegare alla gente perché la nostra musica assomigliava a quella degli U2, o perché lavoravamo con le stesse persone. Ma in fondo loro volevano essere simili a noi e non il contrario».
“Dreaming Of Me” era, se non sbaglio, il vostro primo singolo. Il vostro sogno è diventato realtà?
Fletcher: «È davvero un sogno! Quando a tredici anni canti davanti allo specchio in bagno, il tuo sogno è di arrivare lì. Dal successo del nostro primo disco ad oggi è assolutamente fantastico quello che ci è successo! I cambiamenti che ci sono stati nella mia vita sono incredibili».
Gahan: «Quando avevo dieci anni, ho scoperto un vecchio disco di Elvis o di Chuck Berry; ero affascinato e sognavo di fare qualcosa del genere. Adesso sono sulla scena e ci sto da quasi venti anni. Devo dire a qualcuno che ci sta guardando da sopra, o da sotto!, che gli sono molto grato». (ride)
Martin, tu hai detto una volta che l’unico sentimento forte nella tua vita è il rock’n’roll. Questo è valido ancora oggi?
Gore: «Penso che non potrei più suonare insieme ai Depeche Mode se non fossero la mia passione. La musica è una delle poche cose per le quali posso nutrire un vero interesse».
È veramente la tua unica passione?
Gore: «Credo di aver coltivato altre passioni nel frattempo, ma non te le dirò adesso! ». (ride)

IT’S NO GOOD

Con un brano come “It’s No Good” volevate esprimere, in modo sottile, sensazioni senza parole, forse la vostra percezione del destino.
Gore: «Beh, quando ho finito il brano per l’album ho guardato indietro, e avevo l’impressione che tanti nostri brani trattassero la questione del destino. È la realizzazione di qualcosa che gira nella mia testa e che viene trasmessa con queste canzoni, e “It’s No Good” è una di quelle».
Il “destino” è una delle caratteristiche dei Depeche Mode. Penso che anche quello che vi è successo ultimamente ne sia una dimostrazione.
Gore: «Credo fermamente che tutto quello che ci circonda ci influenzi in qualche modo. Sono sicuro che Dave senta che questi brani sono stati scritti per lui. E malgrado questi pezzi siano una cosa mia molto personale, qualche volta non capisco neanche io cosa mi succede». 
E arriviamo all’aspetto della religione e del credere…
Gahan: «Io credo in una forza superiore, ma è tutto molto vago e difficile da spiegare. Forse questa forza maggiore è l’amore e il sesso? Forse c’è qualcosa nell’amore che è simile a Dio. Non lo so. Non cerco di capire tutto, ma naturalmente credo fermamente che esista un essere migliore di me». (ride)
Cosa rende la religione così interessante per voi?
Fletcher: «Credo che la religione sia il nucleo della nostra vita, se vuoi capire qualcosa della tua spiritualità, del senso della vita. Per questo è così importante». 
E la malinconia latente che i Depeche Mode sanno evocare in modo così perfetto? 
Gore: «Penso che negli ultimi quindici anni abbiamo sempre dimostrato che la nostra musica è molto realistica. Non scriviamo canzonette allegre, perché la vita è tutt’altro che allegra. Perciò molti dei nostri brani hanno un tono melanconico. Questo è il nostro modo di descrivere la realtà».

SONO SOLO CANZONETTE 

OK, ritorniamo alla musica. Come vedete l’evoluzione degli ultimi tre album, che sono andati ognuno in una direzione piuttosto diversa?
Fletcher: «Violator e Songs Of Faith And Devotion sono stati sicuramente i nostri capolavori. Ultra era un degno successore, perché siamo arrivati quasi a creare un album rock. C’era un po’ più di chitarra, abbiamo ridotto l’aspetto elettronico. In fondo, Ultra era un album elettronico con delle chitarre, nella tradizione di Violator».
Gahan: «I Depeche Mode si sono sempre sviluppati e sono cambiati. Abbiamo lavorato duramente per non ripeterci musicalmente. Certo, non è facile, sono sempre i brani di Martin cantati dalla mia voce, ma, anche se solo per noi stessi, dobbiamo cercare stimoli. Non ha senso dipingere sempre lo stesso quadro. Come artista pensi sempre di cambiare quando stai lavorando».
Quale importanza ha avuto il produttore Tim Simenon dei Bomb The Bass?
Gore: «Tim lavora sempre con lo stesso team: un programmatore, un tecnico e un musicista. Questo gruppo ha cercato di colmare in Ultra il vuoto che era stato lasciato da Alan. Quella volta è stato importante per noi trovare il giusto produttore. Certo, è sempre importante, ma quella volta in particolar modo».
Negli anni Ottanta vi hanno visto come dei pionieri della Computer-Keyboard Music. Avete mai pensato di registrare adesso, negli anni Novanta, un album techno?
Gore: «Da una parte ci si aspettava qualcosa del genere da noi: un vero album techno. A me personalmente piace la techno, ma non abbiamo mai cercato di seguire una sola moda; sarebbe sbagliato. Se i Depeche Mode oggi incidessero un album drum’n’bass sarebbe sbagliato ugualmente. Abbiamo sempre fatto quello che volevamo, abbiamo cercato di crearci la nostra nicchia, e l’abbiamo trovata. È bello aver trovato la libertà di poter sperimentare e vedere che i fans s’interessano al tuo lavoro».
So che siete fans dei vecchi album dei Can, e in più avete chiesto la collaborazione di Jackie Liebezeit per Ultra. 
Fletcher: «Per noi Jackie Liebezeit è sempre stato uno dei percussionisti più innovativi e incredibili. Lui fa cose che sono impossibili per altri drummer. Ha uno stile molto personale. È stata una collaborazione molto interessante».
Martin, Ultra ti ha visto come cantante in “Home” che per me è uno dei brani più belli… 
Gore: «Grazie. “Home” è anche il mio brano preferito di quest’album. Abbiamo sempre avuto dei brani in cui io cantavo, quando la canzone richiedeva più di una voce. Certe volte la voce di Dave non si adatta completamente ad una song. Quando è così, cerco io di cantare. E quando la mia voce si abbina meglio all’atmosfera di un brano, scegliamo questa versione».
Come si sente Dave in questi casi, anche perché tu scrivi quasi tutti i brani? Pensi anche a Dave quando scrivi? 
Gore: «Non lo faccio mai. Molta gente pensa che io scriva sempre per lui, ma non è vero, tutte le canzoni rispecchiano il mio personale punto di vista. Ma non è un problema. Dave si sente veramente coinvolto. Vedi, abbiamo molto in comune, siamo cresciuti in modo simile e suoniamo da diciotto anni nello stesso gruppo. Dopo un periodo così lungo c’è molto che ci lega l’un l’altro».
In “The Bottom Line” i Depeche Mode seguono il blues, il gospel, il folk, addirittura il country…
Gore: «Penso che ci sia qualcosa di country e di easy-listening. È stato divertente buttare tutto in un frullatore e vedere uscire uno strano miscuglio. Ma nonostante il brano sia influenzato dal country suonato con pedal steel, rimane in ogni modo una canzone tipicamente Depeche Mode».
Fletcher: «Mi ricordo ancora come Martin mi ha presentato il brano. Suonava l’idea sulla chitarra e cantava al telefono! Quando ho sentito questo scheletro di canzone mi sembrava proprio country». (ride)
La song è la parte più importante per i Depeche Mode, non il sound, avete detto una volta. 
Gahan: «Esattamente. Una volta eravamo dei puristi dell’elettronica. È durato un bel po’ finché non abbiamo capito che in quel modo ci stavamo ingabbiando, e che un brano sarebbe migliorato inserendo altri strumenti o altri musicisti o degli strumenti acustici. Ed è quello che abbiamo fatto. In fondo è una cosa logica, ma ci è voluto un po’ prima di arrivare».
Si sentirà Ultra dal vivo?

ON THE ROAD AGAIN 

Per quanto tempo sarete in giro questa volta?
Gore: «Siamo stati in giro per quindici mesi con il “Faith And Devotion Tour”, e i risultati non sono stati molto buoni, come tutti sanno. Perciò questa volta abbiamo deciso di fare una tournée di soli quattro mesi, e non vediamo l’ora di cominciare».
Dall’ultima tournée sono passati cinque anni. Siete preoccupati per la reazione dei fans?
Fletcher: «Siamo insieme da quasi diciotto anni, abbiamo visto nascere e morire molte idee. Cerchiamo di concentrarci a scrivere degli ottimi brani. È il modo migliore per legare i fans a noi».
Gahan: «Loro sono molto fedeli, perché da sempre ci siamo creati la nostra piccola nicchia, e i fans sono cresciuti insieme a noi. E poi non l’abbiamo fatto a posta a non andare in tournée con Ultra».
I problemi di Dave con le droghe durante l’ultimo tour hanno quasi decretato la fine per i Depeche Mode. Come lo volete evitare questa volta?
Gore: «Resterò sobrio per due giorni la settimana».
Gahan: «Buona idea!».
Siete nervosi, pensando di andare “on the road again”?
Gahan: «Tremo già adesso al solo pensiero! Ma a parte gli scherzi: i concerti sono sempre una cosa difficile, ma fa bene essere nervosi… può migliorare la tua performance. Se non fossi nervoso, saprei che qualcosa non va».
Che possiamo aspettarci dai concerti?
Fletcher: «Sarà una retrospettiva, suoneremo tutti i successi degli anni 1986–98, più alcuni brani storici. Sarà una specie di festival della nostra storia». 
Gore: «Abbiamo provato a buttar giù una lista dei brani da suonare, e in un attimo siamo arrivati a sedici! E io sono sicuro che li riconoscerete tutti!».
Come sarà lo show?
Gahan: «Come durante il “Faith And Devotion Tour”, avremo un altro batterista, in più qualche cantante e un nuovo tastierista, che prenderà la parte di Alan. Sarà interessantissimo e molto sperimentale».

(traduzione a cura di Michael Schlicht)