Depeche Mode

 

La Sala dei Congressi di Francoforte è uno spazio stupendo, modernissimo, assai congeniale per i concerti di media portata. Rettangolare, pavimentata in parquet, capace di accogliere in condizioni ambientali ed acustiche perfette circa 5000 persone. Non più di mille erano comunque presenti a questo concerto della formazione inglese, organizzato dal mensile musicale Musik Player in occasione della Musik Messe. I Depeche Mode sono tornati ad essere un quarteto, dopo aver sostituito il fuoriuscito Vince Clarke, ora protagonista del fortunato progetto Yazoo, con un altro tastierista. I quattro si dispongono l’uno accanto all’altro sul palco, semplicissimi nella strumantazione: un Moog, un PPG, un Roland Jupiter, una tastierina Yamaha. Il cantante manovra un quattro piste TEAC che è un po’ il cardine dello spettacolo: su di esso sono incise tutte le basi ritmiche e sono contemplati intervalli predeterminati tra un pezzo ed un altro. Solo in occasione di un pezzo aperto da una tastiera, la macchina verrà farmata. Il concerto subisce un evidente condizionamento da questa situazione: tutto deve essere suonato e misurato su un programma prestabilito: ma l’idea fa evidentemente parte di un progetto basato sulla semplicità di esecuzione quanto sulla precisione e, al tempo stesso, sulla demitizzazione dell’elettronica. Le pop songs dei Depeche Mode fanno uso della tecnologia che vuole essere naif in modo irreprensibile, quasi in odore di un giovanile snobismo. Ma i pezzi sono fortissimi, melodicamente e in arrangiamento, e i ragazzi mostrano in possesso di non comuni capacità vocali. Mentre il cantante si impegna in una esuberante interpretazione del ruolo dell’entertainer, gli altri restano quasi immobili davanti alle tastiere, costruendo ciascuno con un lavoro al limite del minimale, un tappeto armonico che realmente possiede cervello e comunicativa.

 

Stefano Pistolini